L’evento al teatro Alida Ferrarini incentrato sul confronto tra il fotografo emergente Gaetano Patuzzo e il celebre Renato Begnoni

 

Il giorno 15 dicembre al teatro Alida Ferrarini di Villafranca si è tenuta una serata a tema fotografico intitolata Riflessi sospesi. L’incontro era incentrato su Gaetano Patuzzo, un fotografo emergente che ha guadagnato notorietà grazie alle sue opere a tema paesaggistico.

Dopo l’introduzione di Elia Sommerlad è iniziato il dialogo – intervallato dalla musica di Stefano Mancuso ed Eleonora Notari – nel quale, tramite le domande poste a Patuzzo da Renato Begnoni, fotografo di fama internazionale (già intervistato dal nostro giornale, ndr), sono emersi i loro punti di vista riguardo la fotografia e ai messaggi che vi si celano dietro.

Begnoni «Perché hai scelto i paesaggi come tema?».

Patuzzo «Mi è venuto spontaneo, come risultato di una scommessa con un mio conoscente che sosteneva che prima o poi sarei rimasto senza materiale da fotografare, se mi fossi dedicato interamente a loro: la bellezza, però, si può trovare dappertutto».

Begnoni «Il paesaggio è uno dei soggetti più fotografati in assoluto; molte delle tue foto mi hanno colpito perché mi riportano alla mente quelle del grande Luigi Ghirri, che ci ha lasciato nel 1992». Preferisci realizzare delle belle foto o delle buone foto?».

Patuzzo «Io cerco le buone foto, che trasmettono emozioni».

Begnoni «Sono d’accordo, una “bella” foto dura un giorno, una buona foto l’eternità, perché contiene gli argomenti della vita. Una bella opera ha vita breve come una farfalla, una grande opera invece continua a far riflettere anche molto tempo dopo. Quando li pubblichi, i tuoi paesaggi ricevono subito centinaia di “like”. Cosa ne pensi?».

Patuzzo «Credo che le persone si concentrino un po’ troppo sul mondo virtuale, rischiando di dimenticarsi non solo delle problematiche reali ma anche dei messaggi delle foto.

Begnoni «Sono contrario all’idea moderna dell’istantaneità, dello “scatto perfetto”, perché se non si hanno dei messaggi o delle argomentazioni su cui basarsi allora si realizza solo una foto tecnica, senza valore emotivo. Purtroppo molti cercano solo di produrre più foto possibili con gli strumenti più costosi, quando in realtà bisogna aprire il cuore e la mente in ogni scatto. Tu fotografi sia con la Reflex sia con il cellulare; c’è una differenza mentale nell’inquadrare l’immagine con uno dei due?».

Patuzzo «No, non cambio nulla, l’istinto a fotografare viene da dentro e mi adeguo a seconda dello strumento che ho a disposizione».

Begnoni «Se potessi vivere in un altro periodo storico, quale sceglieresti?».

Patuzzo «Rimarrei nella contemporaneità, non ho mai avuto l’istinto di cambiare».

Begnoni «Complessivamente, apprezzo molto la tua umiltà e la tua abilità di rielaborare e incorniciare il paesaggio che potrebbe passerebbe inosservato, in un’opera d’arte da condividere con tutti, perché solo allora l’arte ha senso. L’atto fotografico non è un attimo realizzato solo con una macchina, ma porta con sé tutto il bagaglio culturale dell’autore ed è espressione della sua visione».

Sommerlad «Sono sempre stata un po’ turbata dal fatto che la fotografia può anche essere macabra, perché rappresenta un attimo che non ritornerà e può diventare l’ultima testimonianza di qualcosa che non c’è più. La consapevolezza di fotografare qualcosa che è destinato a svanire ti porta a rispettare di più i tuoi soggetti?».

Patuzzo «Io non mi faccio molte domande, ma non vedo lo scatto come un semplice ricordo, un’intrusione, ma un momento di tranquillità e di comunione con la natura».

Begnoni «La fotografia è molto complessa e bisogna impegnarsi seriamente; è necessario un grande rispetto e una cultura enorme. Concordo con l’idea che grazie alla foto la vita non muore mai, ma è immortalata in eterno. In conclusione, credo che in questa società, dove a causa delle nuove tecnologie è prevalente la visualizzazione passiva, che porta allo straniamento, bisogna tornare protagonisti e usare la bellezza dell’arte per guardare oltre il presente e verso l’infinito. La fotografia non è la verità assoluta, perché non mostra la realtà oggettiva, ma ci permette di crearne una noi stessi. Continuerò a parlare della fotografia anche alle nuove generazioni per poterne valorizzare il valore artistico».

Nella foto Elia Sommerland, Gaetano Patuzzo e Renato Begnoni

Davide Bianchini, 5A

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